3 – DA VIA DELL’OROLOGIO VECCHIO AL MUSEO CIVICO

VIA SAFFI

Presa Via Saffi, da notare la ricca sequenza di stemmi rappresentati sulle facciate; in particolare al civico 2 una formella della Confraternita del Gonfalone e al civico 7°, sull’angolo del palazzo, l’emblema dell’Arte dei Calzolai e Sellai. Davanti all’incrocio con Via Fontanella di S. Angelo, s’incontra l’antica chiesa di S. Croce dei Mercanti (7), nota sin dal XI secolo ed oggi riadattata a sala mostre. Dell’antico edificio non resta che il rivestimento esterno a larghi conci bugnati e il bel portale  fatto costruire alla fine del ‘300 dal tesoriere pontificio Angelo Tavernini. Sui larghi stipiti della porta è scolpito un tralcio di vite con ricche volute cariche di grappoli e foglie, raffigurazione allegorica che probabilmente trae spunto dalle decorazioni di S. Maria della Salute.

CURIOSITA’: Nei pressi della chiesa di S. Croce dei Mercanti era la “zecca” cittadina. Infatti, sin dal settembre 1240, Federico II di Svevia aveva concesso a Viterbo la facoltà di battere moneta. Durante tutto il XIII secolo la città ebbe una monetazione propria; le monete locali erano il Grosso Viterbese, in argento, il Viterbino Minuto, in mistura, che recava sul dritto una croce patente e sul retro la scritta S. Lorenzo (il patrono cittadino) e i Denari Paparini.

Poco oltre S. Croce, ma sul lato opposto, è l’ingresso di Palazzo Gentili (9), già sede della Provincia di Viterbo. Il nucleo più antico dell’edificio risale al ‘300 ed apparteneva alla famiglia pisana dei Lanfanelli; passato attraverso numerosi proprietari nel XVIII fu acquistato dalla nobile famiglia viterbese dei Gentili che lo mantenne fino al dopoguerra, quando venne ceduto all’amministrazione provinciale. Particolari i festoni esterni delle finestre del primo piano, ascrivibili al ‘500; all’interno l’austero cortile è ingraziosito da una fontana a nicchia del XIX secolo proveniente da palazzo Macchi. Di seguito a Palazzo Gentili, e ad esso unito, è l’edificio residenziale appartenuto alla famiglia Galeotti, che all’esterno si distingue per il rigoroso loggiato ad archi.

Al termine di Piazza Mario Fani si erge la maestosa facciata rinascimentale della chiesa di S. Ignazio (8), costruita tra il 1662 e il 1671 e destinata, per circa un secolo, all’Ordine Gesuita. Raramente aperto ai visitatori, l’interno conserva diverse cappelle fondate dall’aristocrazia viterbese e pregevoli pitture di artisti locali; una lapide ricorda che nel 1821 papa Leone XIII, ancora seminarista presso i gesuiti, ricevette la comunione ai piedi dell’altare maggiore della chiesa. Tra la chiesa di S. Ignazio e palazzo Cordelli, un edificio che si caratterizza per le elaborate finestre cinquecentesche, si fa spazio Via del Collegio; seguendo l’acciottolato si arriva in uno slargo, un tempo chiamato “piazza dei Cercini”. Sull’angolo di un palazzetto da notare, incassata nel muro, una colonna in peperino dal raffinato capitello corinzio.

VIA OROLOGIO VECCHIO E PORTA DELLA VERITA’

Da Via del Collegio si sbocca su Via dell’Orologio Vecchio, poco più in alto della scala-balcone del Palazzo Mazzatosta (10). L’impianto originario va ascritto al ‘200, come pure il grande profferlo composto da un’alta scalinata, costruita su un arco rampante, e da un massiccio ballatoio sorretto da due arcate e chiuso da un raffinato parapetto con corona ad archetti trilobi. Le ampie finestre del primo e secondo piano rivelano importanti aggiunte e trasformazioni nel periodo rinascimentale. Secondo alcuni studiosi, certe insegne scolpite sul balcone rivelerebbero l’appartenenza del palazzetto alla famiglia del cardinale Raniero Capocci; altri preferiscono attribuire l’edificio ai conti Ildobrandini di S. Fiora. Il ritrovamento sulla facciata di uno stemma dei Caetani, il cui più illustre esponente fu papa Bonifacio VIII, ha fatto ritenere che sin dal XIII secolo la casa fosse stata scelta come residenza del tesoriere papale Giovanni Giacomo Sacchi. Da alcuni passi contenuti nelle cronache di Niccolò della Tuccia, invece, si vuole che, almeno dal ‘400, vi abitasse la famiglia viterbese dei Mazzatosta. E’ certo, in fine, che nel XVI secolo il palazzo fu dimora del protomedico pontificio Jacopo Sacchi, come testimonia una iscrizione incisa sulla fascia marcapiano.

All’altezza del civico 41 si vede un frammento di epigrafe incassato nella parete dell’edificio; vi è riporto il nome di Surrena, la città romana d’epoca imperiale che sorgeva nell’area termale ad ovest di Viterbo. Ripresa la salita di Via dell’Orologio Vecchio, si supera l’arco a tutto sesto del profferlo che fa da imbocco alla tortuosa Via della Marrocca.

Poco oltre si affaccia un palazzetto rinascimentale (11)  contraddistinto da due finestroni decorati col giglio farnesiano, oggi murati, e dallo stemma di papa Paolo III; l’edificio fu eretto nel XVI secolo dallo scudiero e barbiere pontificio Giovanni Baciocchi.

Di seguito si erge la poderosa torre medievale che dà il nome alla via e che domina la piccola piazza S. Simeone, così chiamata da un’antica chiesa medievale demolita nel 1876. Dalla base del torrione si dipana un viottolo, chiamato per l’appunto Via della Torre, che dalla parte opposta termina su Piazza della Vite con al centro un vecchio lavatoio pubblico (12); sul palazzo ad angolo alcuni stemmi ricordano che qui era la residenza cinquecentesca del cardinale Riario. Parallela a via della Torre e la stretta Via Selvi, al cui inizio è possibile distinguere una piccola scala-balcone con interessanti ornamenti a stella di diamante. Tornati su Piazza S. Simeone, al civico 4 è il Palazzo degli Scapellini, realizzato nel 1901 dall’omonima Cooperativa su disegno di Valerio Caposavi; sulle finestre del grande balcone sono scolpite la parole Virtus, Labor e Concordia, curioso il pipistrello raffigurato sotto il cornicione superiore.

Da Via dell’Orologio Vecchio si prosegue sino all’incrocio con Via della Verità e da qui si arriva in Piazza Luigi Concetti, dove si erge la ridondante facciata della chiesa di S. Maria della Pace (13). Eretta nel 1662 per volontà del cardinale Brancaccio, fu edificata nei pressi di un più antico convento di suore servite che nel 1937 venne completamente demolito. L’interno, completamente manomesso, non è aperto alle visite. Tra i numeri civici 5 e 6 della piazza è una fontanella a coppa emisferica poggiata su una colonnina scanalata e ricavata in una profonda nicchia. Lo stemma sulla chiave di volta dell’arco della nicchia appartiene alla nobile famiglia dei Maidalchini. Continuando lungo Via della Verità, sulla destra si apre Via Vetulonia; il palazzo ad angolo, particolare per la loggia oggi murata, si ritiene essere stata la casa del cronista e priore quattrocentesco Niccolò della Tuccia. Poco oltre, sulla facciata del palazzetto che anticipa Via Oscura, da notare una lapide che ricorda la deportazione ad Auschwitz della famiglia Anticoli avvenuta nel dicembre 1943.

Si raggiunge quindi il tratto orientale delle mura dove si apre Porta della Verità  che in età medievale era detta Porta dell’Abate (14). L’attuale impianto e le decorazioni del fornice risalgono al 1728, quando il Comune provvide ad un radicale restauro con l’aggiunta degli stemmi di papa Benedetto XIII, del governatore Oddi, del vescovo Sermattei e del Municipio.

CURIOSITA’: Nell’autunno 1867 iniziarono le convulse operazioni dei Garibaldini nella Tuscia per abbattere lo Stato Pontificio. Ad ottobre un drappello di Cacciatori del Tevere, guidati dal generale Giovanni Acerbi, si apprestò ad attaccare Viterbo confidando nell’insurrezione della popolazione. All’alba del giorno 24 ottobre i garibaldini tentarono invano di sfondare la resistenza pontificia a Porta Fiorentina, quindi ripiegarono verso la meno protetta Porta della Verità che venne data alle fiamme; ricavata una breccia, alcuni soldati varcarono le mura ma furono accolti da una scarica di fucilate che uccise due degli assalitori e un frate del monastero della Verità che era stato aggregato con la funzione di negoziatore. Il 28 ottobre le truppe pontificie di stanza a Viterbo furono richiamate a Roma e Acerbi poté fare il suo ingresso trionfale nella città proclamandosi prodittatore di Garibaldi. A memoria dei fatti sul lato destro di Porta della Verità è murata una lapide che riporta il nome dei tre caduti.

Uscita Porta della Verità, a sinistra, lungo il suggestivo tratto murario che scende in direzione dell’antichissima Porta S. Marco, affiorano dal terreno le rovine del palazzo fatto costruire nel 1242 da Federico II di Svevia (17). Il progetto interessava una superficie vastissima, secondo alcune stime superiore ai 5.000 m2, che rapportata all’attuale topografia cittadina, coincideva grossomodo con gli isolati dei monasteri di S. Caterina, di S. Simone e Giuda e, in parte, di S. Rosa. Ancora incompleta, la fortezza fu rasa al suolo dai guelfi dopo la morte dell’imperatore. Le mura che furono erette in luogo del palazzo furono rialzate nel XIV secolo ad opera del tesoriere pontificio Tavernini, come testimoniano alcuni stemmi incisi sugli alti merli.

Alle spalle dei ruderi del palazzo è una piccola croce in peperino con la scritta “Alla memoria di Jaromir Czernin, qui caduto il 12/07/1921”. Si tratta del quindicenne figlio di un diplomatico austriaco ucciso per errore, durante una schermaglia armata tra fascisti ed antifascisti, mentre transitava con la madre ed il fratello a bordo di un’auto di ritorno da una gita ad Orvieto e diretto a Roma.

CURIOSITA’: Per l’omicidio del piccolo Jaromir seguì un processo sommario che condannò il calzolaio viterbese Lamberto Andreoli. Una diceria voleva che l’Andreoli fosse stato il frutto di una relazione tra Umberto I e una modella che aveva posato per il pittore Pietro Vanni presso casa Savoia. In effetti, l’uomo era molto rassomigliante al re e per giunta la sua bassa statura ricordava quella del presunto fratellastro Vittorio Emanuele III. Era per questa storia che i suoi concittadini gli avevano affibbiato il soprannome di “Mastrumberto”.

Proprio di fronte a Porta della Verità, sullo slargo dedicato a Francesco Crispi, si trova la chiesa di S. Maria della Verità , citata nei documenti medievali solo dalla metà del ‘300 (15). In realtà sull’area dell’attuale edificio, sin XII secolo, esisteva una più antica chiesuola amministrata dai monaci premostratensi; costoro furono sostituiti dai frati serviti intorno alla metà del ‘200, i quali riedificheranno il tempio come oggi lo vediamo, secondo il classico modello a croce latina, e l’annesso convento. Dal XV secolo S. Maria della Verità divenne il luogo prediletto per la sepoltura del patriziato cittadino, tra cui i Gatteschi, i Guizzi e i Mazzatosta; anche le confraternite vi aprirono nuove cappelle, come quella dei Tedeschi, quella dei Corsi e quella dei Lombardi dedicata a S. Ambrogio. Chiusa al culto nel 1870, più tardi la chiesa ospitò il museo archeologico; gravemente danneggiata dai bombardamenti del 1944 subì grandi restauri e fu riaperta al culto nel 1960.

La facciata, costituita da semplici lastre di peperino, è stata completamente rifatta dopo gli eventi bellici. All’interno, sulla destra della controfacciata, è visibile un affresco (un’Annunciazione ed alcuni Santi) da taluni attribuita al Balletta, pittore viterbese del ‘400. Nel transetto sinistro tre riquadri ospitano affreschi ascrivibili alla scuola del Pastura (XVI secolo) che rappresentano S. Fabiano papa tra i Santi, la Trinità e S. Francesco d’Assisi. Il tetto presenta una notevole travatura ed è ricoperto da pianelle decorate, in gran parte sostituite da copie che riprendono i disegni di quelle originali del XV secolo. Delle numerose cappelle che un tempo abbellivano la chiesa non rimangono che le nicchie scolpite con qualche avanzo di pittura. Miracolosamente sopravvissuta al tempo e alla guerra, anche grazie ad un difficilissimo restauro, è invece la quattrocentesca Cappella Mazzatosta , la seconda ad aprirsi sulla parete di destra. E’ ospitata in un grande ambiente a pianta quadrangolare che conserva l’originale cancellata in ferro battuto e un pavimento in piastrelle di maiolica , opera del viterbese Paolo di Nicola, alcune delle quali sono esposte al Victoria and Albert Museum di Londra. La cappella fu fatta costruire da Nardo Mazzatosta che nel 1469 ne affidò la decorazione al viterbese Lorenzo di Giacomo. Il ciclo di affreschi, assoluto capolavoro nel panorama pittorico locale, è ispirato alla vita di Maria e ricopre le tre pareti ed il soffitto. Nel sottarco d’ingresso della cappella sono rappresentati Profeti e Santi, le vele della volta racchiudono Santi ed Evangelisti, sulla parete di destra sono dipinte l’Annunciazione e l’Adorazione del Bambino, su quella di fronte Il Trionfo della Vergine e su quella di sinistra La Presentazione di Maria al Tempio ed il celebre Sposalizio della Vergine.

CURIOSITA’: Lo Sposalizio della Vergine, oltre all’elevato pregio artistico, ha anche un grande valore documentaristico in quanto i personaggi che fanno da cornice a Giuseppe e Maria indossano abiti del Quattrocento ed hanno le sembianze di uomini e donne vissuti all’epoca. Tra i numerosi volti possiamo riconoscere quell’autore stesso (il giovane a mani giunte), quello del committente (l’uomo elegante col bastone) ed anche quello del cronista Niccolò Della Tuccia (l’uomo col berretto tondo e il mantello rosso). Questa identificazione è stata possibile grazie ad un manoscritto nel quale Della Tuccia ebbe premura di annotare che: “nella quale cappella … sono molti giovani cavati da naturale … sta una [donna] vestita de negro en forma de vedova, et direto ad quella decto Mastro Lorenzo volse pegnere me, et cavarne dallo naturale, et così fe, ove vederete un anticho homo de età de anni sessantotto et mezzo o circa vestito de pagonazzo et col mantello adosso et beretta tonda en testa et calze nere, et quello è facto ala similitudine mia”.

Negli ambienti dell’ex convento servita di S. Maria della Verità, sin dal 1955, è allestito il Museo Civico  di Viterbo (16). I diversi livelli espositivi sono dedicati all’Evo Antico (con sarcofagi, bronzi e buccheri etruschi, vasi e terrecotte votive del III-II secolo a.c. e corredi funerari), al Medioevo (con sculture, oggetti sacri e la celebre Sfinge marmorea di Pasquale Romano del 1286,) e all’Età Moderna. Nella ricca pinacoteca importanti opere pittoriche ripercorrono epoche diverse: la Madonna col Bambino di Vitale da Bologna (XIV secolo),  la Madonna col Bambino tra Angeli e Cherubini di Andrea Di Giovanni e con aggiunte di Antonio del Massaro (XV secolo), la Madonna col CardellinoJJ del Balletta ed il Presepio del Pastura (XV secolo), la Deposizione di Jacopo Zelli (1517), la famosissima PietàJJ e la Flagellazione, entrambe di Sebastiano del Piombo (XVI secolo), l’Ercole ed Onfale di Giovan Francesco Romanelli (XVII secolo), ecc. ….

Per accedere al Museo è necessario attraversare il chiostro gotico del convento; realizzato a cavallo dei secoli XIII e XIV, il cortile è a pianta quadrata ed è costituito da pregevoli polifore (sul lato a mezzogiorno le lunette degli archi presentano delicati decori a tracery); al centro vi è una cisterna del ‘500 proveniente dal monastero di S. Agostino. Le corsie del chiostro accolgono una galleria di sarcofagi  in nefro provenienti dalle necropoli dei dintorni (Musarna, Norchia, Cipollaretta e Castel d’Asso).

CURIOSITA’: Negli anni Venti del ‘900 fu pianificata un’espansione edilizia ad oriente del centro storico, tra i conventi di S. Maria in Gradi e S. Maria della Verità. E’ in questo periodo che la cooperativa dei ferrovieri costruì le particolari villette bifamiliari che caratterizzano le vie adiacenti l’odierna Piazza Crispi. Soprattutto dopo l’elevazione di Viterbo a capoluogo di Provincia, nel 1927, si registrò un ulteriore ampliamento del quartiere per la necessità di realizzare nuove abitazioni per la crescente popolazione impiegatizia. Interessanti in Via Monte Asolone alcuni palazzetti costruiti per i dipendenti dello Stato le cui forme, spiccatamente neo-medievali, furono influenzate dall’ “Eclettismo”, un linguaggio architettonico estremamente in voga in quei decenni d’inizio secolo. Oggi questi caseggiati fanno parte del quartiere “Capuccini”, così chiamato dal convento francescano che si trova al termine di Via IV Novembre, dopo una bella salita ombreggiata. Il complesso, fatto costruire alla fine del XVI secolo, è stato completamente rifatto nella seconda metà del ‘900.